tirare l’elastico

Mio nonno diceva: bisogna tirare la cinghia.

Un motto della sua gioventù post-bellica. Noi oggi ci ritroviamo a vivere la terza guerra mondiale, in cui non c’è un colpevole o un vincitore e dobbiamo capire cosa si può fare per recuperare la strada persa durante la pandemia.

Gli elementi critici che si analizzano in una situazione di crisi, che sia respiratoria, aziendale, del mercato; sono sempre gli stessi.

Respira? = è ancora vivo? = ha ancora denaro? = c’è qualcuno interessato a questo prodotto?

Da questa prima semplice domanda si parte con una sequenza quasi di triage, per arrivare alle possibili soluzioni.

Il primo incrocio corrisponde ad un bivio, vuol dire che non ci possono essere altre opzioni: sì o no!

Se respira, ha denaro in cassa, si va oltre e si cerca di capire quale può essere il problema. Se non respira bisogna iniziare a rianimare la persona, bisogna trovare il denaro per l’azienda.

Quante volte devo soffiare nella sua bocca? Quante volte devo schiacciare il torace, quanta forza devo applicare per non rompergli le costole? Quanto possiamo indebitarci? Quanto denaro possiamo permetterci di chiedere che dovremo restituire?

Una volta ricevute queste risposte, o aver trovato un buon medico che ci viene in aiuto, si può procedere con le fasi successive. L’infortunato può essere spostato? Possiamo portarlo in ospedale così da ricevere tutte le cure necessarie? L’azienda può aprire un nuovo mercato, può entrare in altri mercati? Possiamo spostare la produzione in aree dove costi meno?

Fatte le valutazioni di sopravvivenza, si dovrà cercare una road map da seguire, nel caso succeda di nuovo la stessa situazione. Se è stato un infarto la causa del malessere, oltre ai controlli medici, sarà necessario modificare tutte le cattive abitudini di vita: cibo, alcol, movimento, controlli medici, ecc. Nel caso dell’azienda: analisi e proiezioni di bilancio, affiliazioni, partenariati, finanziamenti, fidi bancari.

Tutte queste attività dovrebbero portare chi le ha vissute a realizzare una memoria storica dell’accaduto, per evitare che possa ricapitare. Ma se succederà di nuovo, avremo la strada da seguire già in parte scritta.

Nessuno poteva immaginare che nel 2020 il Covid-19 partito dalla Cina avrebbe devastato l’Italia e l’Europa intera.

Nessun tipo di cura, e l’unica prevenzione: stare chiusi in casa. Questo tipo di risposta all’emergenza, denota l’incapacità di poter combattere questo virus. Nessuna casistica, nessuna soluzione a breve termine.

Tante parole buttate al vento: è mortale, non è mortale, c’è un vaccino, il vaccino non funziona, chiudere tutto, no apriamo tutto, il virus non esiste più. Belle, ma sono solo parole, dietro a queste frasi, ci sono mesi di chiusura, mesi di mancato stipendio, di mancato fatturato, di fermata collettiva di tutte le attività commerciali, e dei servizi che le persone utilizzavano prima del lockdown.

La vita appesa al collare del cane, come scusa per uscire di casa, anche dieci volte, per provare l’ebrezza della fuga, della libertà, della ricerca di una pseudo-normalità.

Dopo la prima ondata la capacità di resistenza psicologica è decaduta.

Anche la percezione cognitiva si è abbassata. La sensazione primordiale di paura è stata smorzata dalla dopamina prodotta dal bisogno del cervello di fare quello che faceva prima del virus. Un po’ come se un lavoratore che perde un braccio, esce dall’ospedale e vuole salire in auto e guidare fino a casa con una mano sola.

La mancanza di effetto della paura dovrebbe farci riflettere, dovrebbe spaventarci, dovrebbe stimolarci a capire perché. L’effetto “risveglio” che si sviluppa dopo aver vissuto un incubo e svegliarsi, cancellando l’esperienza emotiva drammatica vissuta, non si può applicare incondizionatamente su tutto. Se l’esperienza vissuta ha determinato conseguenze psico-fisiche permanenti (covid, morti, patologie collaterali, licenziamento, chiusura dell’attività, debiti), la consecutio sarà: capire cosa l’ha generata, e creare armi di difesa contro l’origine del male.

In questo caso, l’Italia si è spaccata in due, chi terrorizzato da quanto vissuto, dalle persone perdute per Covid, che ha deciso di ridurre il più possibile contatti, e attività. Chi invece ha scelto di esorcizzare l’accaduto, festeggiando l’estate come una vacanza che non arrivava da anni, le ferie agognate sempre rimandate, quel viaggio che non si poteva mai fare.

Nessuno di chi poteva aver accesso ai dati di analisi e alla comunicazione nazionale ha pensato di informare gli italiani che il virus è come un ciclone-anticiclone costante, che si sposta in tutto il mondo da una nazione all’altra, da un continente all’altro.

Quindi nessuno ha veramente sostenuto che la seconda ondata poteva travolgere il nostro paese.

Nel momento in cui si esce da una gabbia, che sia psicologica o fisica, l’intero individuo tende a non voler più accettare di subire nuovamente lo stesso trattamento, rifiutando privazioni anche minori, perché le vive come obblighi derivati da complotti o imposti da entità superiori, sviluppando: la negazione.

Il cervello è come un oggetto che sospeso in aria, contrasta la forza di gravità, ma per sua natura tende ad arrivare al punto più basso, il terreno, il punto in cui fa “meno fatica” per contrastare questa forza invisibile. Il cervello umano applica lo stesso principio in ogni attività razionale. Creando strategie psico-fisiche per “replicare” gli stessi movimenti (movimenti per guidare l’automobile). Nel caso cognitivo, cercherà sempre la semplificazione della percezione dei messaggi o segnali che riceve.

Un suono che determina paura=stimolo alle ghiandole surrenali+produzione di adrenalina pompata nel sangue, accelerazione del battito del cuore, dilatazione muscolare=preparazione del fisico alla fuga.

Quando questa procedura viene scatenata sempre dallo stesso suono, e viene rivissuta dall’individuo, dopo la terza volta, la risposta fisico-emotiva comincia a diminuire, si attenua, fino a scomparire.

Questo fenomeno viene definito: abbassamento della soglia di percezione dei rischi. Ed è il primo responsabile di molti incidenti sul lavoro e nello sport.

Per evitare che questo accada, bisogna trovare “nuovi suoni”, diversi, che riescano a farci tenere alta la percezione con il sistema di difesa suono=paura=fuga=messa in sicurezza.

Quando in questo processo di ri-stimolazione si frappongono persone, parole, “suoni attenuatori” come: il problema è finito, non può più uccidere, il covid clinicamente è morto, il nostro “algoritmo biologico di difesa” si spegne, e non funziona più a dovere. Solo chi ha un ricordo emotivo forte, come una perdita, aver vissuto “la fame d’aria” essendo stati contagiati dal virus, mantiene alta la soglia di percezione dei rischi.

Nessuno poteva sapere che sarebbe arrivata la seconda ondata, ma neanche la terza, la quarta, la quinta.

Però nel lasso di tempo concesso dalla pandemia, bisognava costruire protocolli esecutivi, applicabili in tutti i settori, dalle aziende agli ospedali, fino alle banche, per garantire un sentiero sicuro, nel momento in cui questa situazione di crisi si fosse ripresentata.

Non serve cercare denaro da dare alle aziende per regolamentare i dpi ed adeguare i locali al pubblico, se non si garantisce loro formazione ed informazione sulle ondate successive di pandemia. Il denaro è un mezzo, non è la soluzione, e non aver affrontato in modo brutale e serio la prima fase post-covid ha semplicemente spostato nel tempo il problema, non lo ha risolto. Oggi il problema si è ripresentato, e la strada per affrontarlo, se è stata scritta, è conosciuta solo dal pool di tecnici che l’ha creata, perché le persone, il popolo non ha ricevuto nessuna spiegazione.

Ci sono situazioni ancor più gravi che vanno oltre il colore politico, e mi riferisco alle inadempienze dei governi regionali. Se i dirigenti preposti al governo della Regione Lombardia, e anche altre, sono parte del problema: non possono essere parte della soluzione. È bene tenere a mente questa analisi, perché essendo parte di quel problema oltre a difendere sé stessi ed il loro ruolo, da soli, non saranno in grado di rendersi conto che sono il problema. Questo è un Bias cognitivo riconosciuto. Finché faranno parte del problema, il problema riceverà soluzioni solo parziali.

Questa pandemia è un effetto ad “intermittenza”, il che significa che può ripresentarsi costantemente nel tempo, facendo ripartire da zero tutte le soluzioni provvisorie adottate e riporta a zero tutti gli investimenti e gli eventuali fatturati ottenuti.

Questa pericolosa oscillazione a yo-yo, alla lunga determina rotture di “resilienza cognitiva” sul tessuto sociale italiano ed europeo. Con conseguenze negazioniste o peggio di percezione di complottismi diffusi. Qualsiasi spinta propulsiva per il rilancio del nostro stato, dovrà tenere conto di tanti fattori, non solo economici, perché il cibo necessario oggi è “il cibo per la mente”, il ristoro cognitivo attraverso le giuste informazioni.

L’unico modo, per superare situazioni che minacciano la vita delle persone e delle attività produttive, è quello dell’elastico. L’aeroplanino che vola grazie all’elastico arrotolato girando l’elica, vola fino a quando quell’energia fa girare l’elica, dopo inizia una progressiva planata fino al punto di minor dispendio energetico, il terreno, stando fermo. Per ricevere una nuova carica e riprendere il volo. Possiamo definire questa sequenza: un ciclo di azione. Potremo tradurlo in lockdown-fermata a terra, post lockdown-ricarica dell’elastico, ripartenza dell’economia-ripresa del volo. Una specie di: avviare-cambiare-fermare.

Per far funzionare questo ciclo di azione è necessario dopo la fine di ogni ciclo, fermarsi e avviare un’analisi retrospettiva per capire i dati più importanti: quanto tempo è necessario stare fermi (quanto deve durare il lockdown per essere efficacie), e quanta ricarica fare (quanto denaro è necessario immettere nel tessuto sociale e produttivo).

Oltre a questo, qualsiasi ente governativo, comune, provincia, regione, stato; dovrà occuparsi della cura, della salute, della condizione dei cervelli della popolazione che abitano quello stato, perché senza ottenere sostegno psicologico, qualsiasi azione non verrà seguita, anzi potrebbe essere rifiutata o vista come una privazione delle proprie libertà e dei propri diritti.

Bisogna tirare l’elastico e vedere questa operazione come una rincorsa, per fare un gran salto verso il futuro. Se non saremo tutti pronti a prendere la rincorsa, a faticare e sudare durante il periodo di transizione, non avremo energia sufficiente per spiccare il salto, per riprendere il volo, decretando il fallimento di qualsiasi progetto messo in atto.

Per poter guidare e avere il controllo, bisogna avere una sola voce che sia il riferimento per tutti, ma ancora più importante è avere il controllo di tutte le tre fasi del ciclo di azione, se anche solo una di queste fasi va fuori controllo, la direzione cambierà, si allungheranno i tempi e gli effetti negativi su tutta la popolazione.

Prepariamoci a vedere nel mondo la terza e quarta onda, se non si svilupperanno, tanto meglio, ma se all’orizzonte vedremo l’ombra del contagio, avremo il tempo per tirare l’elastico.

Quando il Vesuvio ha disintegrato Pompei, i messaggi di paura erano chiari: lapilli, fumo, terremoti, fiamme e lava. Qui il Covid è trasparente, bisogna osservare le terapie intensive. Non lasciamoci uccidere fisicamente o economicamente da qualcosa che fortunatamente siamo in grado di affrontare.

Andrea Pernarcic