perdere le mani

Diario Lunedì 27 luglio 2020 – PERDERE LE MANI

La frase tipica: “te ne accorgi solo quando hai perso qualcosa” è verissima!

Quando gestiamo il nostro corpo da piccolini in su, non ci rendiamo conto degli automatismi e del potere che il nostro fisico da al nostro cervello. Il fatto di poter compiere un gesto nello spazio, inteso in camminare, correre, afferrare, arrampicarsi, ma anche solo portare una forchetta alla bocca, o grattarsi il naso, sono tutti gesti che facciamo con i nostri “arti”.

Ma se ci venissero legate le mani o le gambe, questa nostra libertà mancata, si trasformerebbe in una vera e propria tortura. Il non poter più eseguire un movimento, afferrare qualcosa. Avere una mosca che ci ronza intorno, e si posa sul naso.

Questo è quello che ho vissuto a 21 anni. Un infortunio sul lavoro, la perdita delle mani, 2 anni per imparare ad utilizzare le mie nuove mani, la riprogrammazione neuronale del cervello, i nervi che crescono circa 2 millimetri al mese.

Un lavoro pesante, che ha gravato in primis sul mio cervello, sulla mia volontà. Un peso, come una vocina “bastarda” che continuava a dire: basta, fermati, non ce la farai.

Invece la determinazione, l’abitudine all’allenamento, hanno determinato la vittoria per la vita. Un nuovo stato di normalità.

Perdere le mani significa bloccare il fisico ma contemporaneamente mettere il cervello in una gabbia costante, dalla quale vuole assolutamente uscire. Diventa una lotta psicologica verso qualcosa che non si vede, contro la disperazione.

La prima fase è: l’accettarsi

Viviamo del ricordo costante di chi siamo, ogni giorno ci svegliamo ed il primo sguardo che diamo nello specchio, in cui vediamo la nostra immagine riflessa, fa cancellare il ricordo di ieri, aggiornandolo, come se fosse una istantanea, l’immagine che oggi porteremo dentro. Ogni volta che ci specchiamo, succede lo stesso procedimento.

Quindi guardarsi allo specchio esternamente, incide per forza di cose sull’intelletto all’interno del cervello.

Come scrivere una nuova stories con una immagine su un social network.

La seconda è: trovare i propri nuovi limiti

Purtroppo il nostro cervello ha una grande memoria psico-motoria, vuol dire che memorizza e trasforma in forma automatica qualsiasi azione fisica di ripetizione meccanica. Ad esempio guidare la macchina, ovvero premi la frizione, dalla folle metti in prima marcia, rilascia la frizione, piano e accelera dolcemente. Dopo un paio di ripetizioni, il cervello memorizza la sequenza e non ci pensiamo più. Ecco molte di queste sequenze, il cervello crede di poterle ancora eseguire in automatico, ma non si può, perché lo strumento mani no c’è, o è danneggiato e dev’essere riprogrammato con le nuove limitazioni. Quindi a casa si fanno le prime prove, un po’ come il bambino che fa i primi passi, cade e si rialza. Questo strumento cognitivo è logorante, perché ci mette in evidenza tutto quello che “almeno oggi” non riusciamo a fare.

La terza fase è: accettare gli sguardi degli altri

Una dei primi cambiamenti fisici riguardano l’estetica e l’armonia della persona, quando ti mancano pezzi di fisico, o non sono più con la forma di prima, cerchi di nasconderli, cerchi di distogliere l’attenzione, e si accende una modalità interna al cervello che è come un allarme cognitivo, quando un amico, un conoscente, un familiare, la prende alla larga e poi piano piano si avvicina, all’argomento: menomazione. Scatta il campanello collegato al limite che gli abbiamo assegnato, e tutto dentro e fuori di noi va in chiusura.

La quarta fase: lo scazzo

Passa il tempo, si invecchia, si migliora, si riesce a fare più cose aguzzando l’ingegno, utilizzando movimenti che prima non si poteva neanche immaginare di fare con le mani integre. Ma basta ottenere il risultato, come afferrare una forchetta e portarla alla bocca, mettere le calze, fare un nodo o allacciare i lacci delle scarpe. Cose impensabili se non dopo aver attraversato un percorso lungo e pesante di fallimenti e di prove su prove.

La quinta fase: lo sbattimento

<<Chi se ne frega! >>

Perfetto questa esclamazione riassume perfettamente il concetto che vive dentro di me. Ho finito di pormi il problema degli altri. Me ne sbatto di chi mi giudica per l’estetica, o che giudica chi vive con me o solo mi ama, cercando di capire cosa può tenerla legata alla mia fugura. Cazzoni che non siete altro, state giudicando il libro dalla copertina, con falsi pregiudizi, con il vostro bias cognitivo. Quindi fate come volete, ma la mia vita va avanti, ed è sempre più in linea con i miei bisogni ed il mio percepire me stesso. Forse oltre al lato estetico funzionale, c’è una persona che ha un percorso di vita costituito da molte più vite di una persona normale. Che ha fatto tesoro dei percorsi in salita per ottenere il risultato, anche minimo, ma che oggi è in grado di replicare la fatica, il coraggio e la determinazione, in modo militare, con qualsiasi tipo di problema anche aziendale.

Questo percorso di acquisizione di competenze è impagabile, non ha prezzo, ed è difficile trovare qualcuno che abbia fatto lo stesso percorso, sicuramente percorsi simili, accumunabili, ma non uguali.

Conclusione

La vita è una sola, quando si vive questa dura condizione, si deve razionalizzare che l’unica certezza è che: non si torna più indietro!

Quindi bisogna accettare il destino, il viaggio, il domani, ,ma sopratutto l’adesso, che è quello su cui bisogna costruire tutto il dopo. Lasciar andare i tempi, perché sono sicuramente lunghissimi, o comunque più lunghi di quanto saremo in grado di sopportare psicologicamente.

Noi siamo di passaggio su questa terra, bisogna ringraziare di esserci, di poter vivere almeno 80 estati, di aver osservato tutto quello che ci piace. Di aver assaggiato e provato tutto quello che stimola il cervello in modo positivo. Ma ricordando sempre che per poter avere un termine di paragone, dobbiamo aver provato il dolore, aver vissuto cose brutte, e anche qualche cibo che faceva schifo, per poter apprezzare le cose buone.

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